Oggi dò spazio a Emiliano Scatarzi, del collettivo SED CHIMERA. Fotografo, videomaker, regista e artista dell’immagine a tutto tondo, è fondatore della celebre Onlus Fotografi Senza Frontiere.
SED CHIMERA, il Collettivo milanese di Street Art che in periodo di quarantena ha tappezzato la città con le sue caratteristiche fotografie, ha realizzato recentemente la sua prima mostra virtuale, “Umani dentro e bestie fuori”. La mostra, a cura di Paola Riccardi, racconta con fotografie e grafiche la Milano deserta della quarantena magicamente abitata da strane bestie antropomorfe, diventando un simbolico grido di cambiamento, consapevolezza, libertà. La digitalizzazione della mostra e la sua realizzazione video-grafica sono di Emiliano Scatarzi e Diego Albani. Ho deciso di dare spazio a Scatarzi e a SED CHIMERA perché, come ben sapete, ho recentemente scritto una poesia in musica, “CIAO TERRA”, con musica e produzione di Mitch B e Van Der Kirche, in perfetta sintonia con il messaggio che SED CHIMERA vuole trasmettere.
In questo periodo caratterizzato dalla pandemia di covid-19, Scatarzi ha girato per la città con la sua macchina fotografica al collo a ritrarre il vuoto, dando vita a una collezione di immagini altamente evocative che ha chiamato pittorescamente “Vuotografie”. Udendo quel grande vuoto urlare dall’immagine in un silenzio assordante e inquietante, due amici hanno voluto dargli un contributo artistico davvero notevole: Diego Albani, direttore creativo, e Simone Bonetta, artista del pennarello dai tratti grossi e decisi, hanno caratterizzato le immagini di Emiliano legandole con impressionanti disegni di animali antropomorfi, e dando vita a una collezione di street art di chiara ironia accompagnata da una delicatezza intellettuale e da un’eleganza d’immagine di altissimo impatto. Le immagini sono state sparpagliate per la città di Milano, appese nel luogo dello scatto o nelle sue immediate vicinanze, per creare un netto contrasto tra il momento in cui la città era piena di gente e il momento del vuoto, in cui la natura riprende il suo spazio e prende ironicamente e cinicamente il posto della gente.
Milano è stata a lungo ferma e le sue strade erano libere in maniera impressionante. Tu sembri volerne sottolineare non solo l’assenza di persone e attività, ma qualcosa di più profondo. Cosa ti ha spinto a scegliere il vuoto e cosa significa per te?
“Il vuoto è arrivato da sé, perché ha riempito la città in un attimo”-dice Scatarzi-” la scelta del vuoto si basa due concetti: il primo è che si vuole raccontare un momento storico, ma anche uno stato d’animo collettivo di analisi di sé. La società ha inserito un vuoto dentro di noi, ma solo oggi riusciamo a riconoscerlo grazie all’assenza di rumore. L’altro è il vuoto che ho sempre trovato dentro di me e che mi ha fatto sempre sentire inadeguato. Un vuoto che ho sempre fuggito, ma che rende ognuno di noi unico. E questo vuoto è dato dalla società, dal capitalismo in particolare, per renderci ottimi acquirenti. Del resto, spesso la creatività viene fuori nei momenti di difficoltà e ne sono un esempio i più grandi artisti della storia. È quindi un motore che ha due facce: da un lato spinge alla creatività, dall’altro ci fa sentire inadeguati”.
Come nasce il nome Sed Chimera e perché, per caratterizzare il vuoto di “Vuotografie”, avete scelto proprio la chimera? Sappiamo che gli animali che caratterizzano le fotografie del progetto sono tra le specie più svariate, che esame c’è per voi tra chimera e vuoto?
“Sed è l’acronimo di Simone, Emiliano, Diego. Da un punto di vista concettuale, la chimera è l’archetipo di tutti gli animali che noi utilizziamo nelle opere e quindi abbiamo voluto fare un nostro autoritratto che abbiamo messo nel nome. La scelta del nome è stato un processo creativo: all’inizio volevamo rimanere anonimi, poi la scelta è cambiata. Abbiamo cercato un nome che ci rappresentasse anche sotto un profilo mitologico”.
Quali sono state le tecniche che avete utilizzato per unire, come dite voi, in sm-ART-working, i progetti dei singoli soggetti?
“Ho usato il mio pennello, cioè la mia macchina fotografica, per Simone, invece, è il pennarello e quello di Diego è Photoshop, ma soprattutto la visione di insieme del creativo. Il rigore fotografico con cui ho fatto le foto è raro per me, le mie immagini non sono mai state caratterizzate da linee giuste, precise, da prospettive marcate, ed è la prima volta che faccio panorami, solitamente sono un ritrattista. Anche così però le persone ci sono, sono rappresentate dal vuoto. Io ho ripreso nel paesaggio il mio essere un ritrattista, fotografando l’essenza delle persone. Ho fotografato il silenzio, che era un grido allarmante di morte. Questi spazi vuoti adesso sono abitati da strane creature”.
Gli animali nelle foto di Sed Chimera sono tutti diversi; sicuramente la scelta della specie da inserire nelle foto non è avvenuta casualmente. Quale peso ha avuto, nella scelta e nella pianificazione, l’istinto?
“La casualità è parte pregnante di questo progetto. Io sono una persona che va, non programma. Mi piace che il caso mi porti davanti alla fortuna. La fotografia è questo: la ricerca continua della fortuna. Simone ha avuto totale libertà per gli animali da disegnare, si è lasciato ispirare dalle “Vuotografie” che ha visto e ha disegnato i vari animali, che hanno chiaramente un significato ironico e spesso sono frutto di riferimenti letterari alla società distopica di Orwell, come per esempio i maiali trascinati fuori dalla Fattoria degli animali e buttati sotto al palazzo della Borsa, oppure i caproni davanti allo stadio Meazza, degni rappresentanti dei malati di tifo. Abbiamo voluto però anche sottolineare il ritorno alla natura e al fatto che la natura si stia riprendendo i suoi spazi. Prima per strada c’erano le persone, ora ci sono gli animali. La nostra versione delle strade riempite dagli animali si riferisce anche a rappresentazioni ironiche delle masse. Sed Chimera direbbe “Umani dentro e bestie fuori… non vi preoccupate, torneremo presto noi a fare le bestie”
Lo chiamate Collettivo e non progetto. Un collettivo prevede anche una certa ideologia di vita e una visione politica ben delineata. È questo il vostro caso?
“Il collettivo è nato perché eravamo in tre, però sicuramente ha una missione politica. Per me la parola politica non è solo quella fatta dai politicanti, ma tutti noi con le nostre azioni facciamo politica tutti i giorni. La nostra è votata alla sensibilizzazione delle persone ad aprire gli occhi, per far capire che abbiamo intrapreso la strada sbagliata, dobbiamo ripensare il nostro rapporto con la natura, perché è tutto collegato e l’essere umano senza la natura si estingue. Come diceva Galileo nel tardo 1500, Tutte le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella”.
I due amici con i quali hai poi discusso di questo progetto sono Diego Albani, direttore creativo, e Simone Bonetta, artista. Che peso ha avuto la vostra amicizia nella realizzazione del lavoro? Sappiamo che a volte l’amicizia non rende le cose troppo facili. Per voi è stato così?
“Le persone intelligenti, siano amici o no, riescono sempre a collaborare. Dato che siamo amici recenti e non sappiamo ancora tutto l’uno dell’altro, la collaborazione è più facile, però è l’intelligenza che dovrebbe mettere nell’angolo gli ego-mostri. Di solito le persone egoriferite non denotano una grande intelligenza. Per fortuna ho potuto scegliere il lavoro che mi piace e con chi lavorare, lo faccio solo con persone con le quali sento totale affinità, non solo professionale e artistica, ma anche personale”.
Dove e come avete iniziato a sparpagliare le foto? Avete seguito una strategia?
“C’è una strategia, quella di raggiungere il più alto numero di persone possibile senza essere invasivi. Noi attacchiamo una sola opera per strada. Il limite tra la street art e vandalismo è molto labile. Quello che vogliamo fare è mettere la foto dove è stata scattata. Anche se a volte, quando non è possibile, cerchiamo di metterla in una zona limitrofa per abbellire arredi urbani. Vogliamo valorizzare questa città, non vandalizzarla”.
Sed Chimera si rifà all’animale mitologico con il corpo composto da leone, capra e serpente, Simone Bonetti è ‘il Leone, Diego Albani ‘la Capra’ e Emiliano Scatarzi ‘il Serpente’. Com’è avvenuta la scelta e perché?
“Simone non ha praticamente avuto voce in capitolo. Quando abbiamo deciso di usare il nome Sed Chimera, Diego ha detto subito con la sua erre moscia “…allora io voglio essere la capra”. Io, d’altro canto, ho deciso che se Diego era la capra, allora io volevo essere il serpente, e il motivo è molto semplice e anche un po’ divertente, perché fa un po’ parte della mia natura. Nella mia vita da fiorentino ho sempre avuto una lingua un po’ tagliente, con cinismo condito di ironia. Non potevo essere il leone! E poi vedo meglio un serpente con la macchina fotografica al collo, pronto a premere il pulsante con la coda!”